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EUROPA
Nome denotante originariamente la Grecia centrale;
esteso poi a tutta la Grecia, verso il 500 a.C. passò a indicare
tutto il continente. Il confine naturale tra Europa e Asia fu generalmente
identificato nel fiume Don. Nell'antichità, se si escludono le
regioni più settentrionali come la Scandinavia, i territori del
continente erano praticamente tutti conosciuti, ma il baricentro della
civiltà era il Mediterraneo. La nozione
di Europa cominciò a essere applicabile a un sistema di civiltà
con caratteri propri soltanto dopo la dissoluzione dell'unità mediterranea,
per secoli base dell'impero romano. Questo spostamento d'asse avvenne
fra il V e l'VIII secolo grazie a quattro fattori. Il primo fu costituito
dalle invasioni barbariche. Esse ebbero conseguenze
etnolinguistiche irreversibili solo alla periferia dell'impero (oltre
che nella meno romanizzata Britannia, nei paesi fiamminghi, in Renania
e nelle province che corrispondono in parte alle attuali Baviera, Svizzera
e Austria), ma mutarono profondamente le strutture giuridiche del mondo
romano e contribuirono ad accelerare la ruralizzazione di quelle economiche
e sociali. Il secondo fu il progressivo allontanamento religioso e culturale
del mondo greco-bizantino da quello latino, rivelatosi nel fallimento
della riunificazione promossa da Giustiniano e nei continui conflitti
teologici dei quali lo scisma d'oriente (1055)
costituì una tardiva presa d'atto. Il terzo fattore fu l'espansione
religiosa e politica dell'Islam, che fece passare gran parte del Mediterraneo
sotto il controllo arabo e contribuì a ridurre i rapporti fra l'impero
d'oriente e l'occidente latino. Il quarto fattore furono le conquiste
dei franchi e di Carlo Magno, che crearono di fatto una nuova area geopolitica
estesa da Aquisgrana a Roma e da Barcellona all'Elba e al medio Danubio
pannonico.
LA RESPUBLICA CHRISTIANA. Il confronto tra le frontiere dell'impero
romano e quelle dell'impero carolingio mostra il grande cambiamento avvenuto.
Nel primo si era realizzata attraverso il Mediterraneo una continuità
di civiltà che andava dalla Spagna e dalla Sicilia all'Africa mediterranea
e alla Siria, mentre al di là del limes renano-danubiano
cominciava il mondo della barbarie. Il secondo aveva annesso con la conquista
e la cristianizzazione la regione fra Reno ed Elba, ma si era dovuto arrestare
di fronte a due frontiere meridionali, quella con la Spagna araba e quella
dell'Italia del sud, ancora a lungo punto di scontro fra bizantini e arabi.
La Spagna restò un'area di frontiera fino al XIII secolo e soltanto
molto oltre questa data Gibilterra divenne un preciso confine fra Europa
e Islam. Quanto all'Italia meridionale, nel X e XI secolo vi fallirono
i tentativi di espansione degli imperatori tedeschi della dinastia di
Sassonia; la conquista riuscì poi ai normanni, che tuttavia rivolsero
il regno di Sicilia piuttosto verso il Mediterraneo e l'impero bizantino
che verso l'Europa. Dopo Carlo Magno lo sviluppo dell'Europa avvenne in
due forme, una esterna e l'altra interna. La prima riguardava il mondo
slavo chesi era venuto costituendo nei secoli VI e VII a oriente dell'Elba
e nell'area danubiano-balcanica e verso il quale nel IX secolo l'occidente
cattolico-carolingio agì in concorrenza con l'oriente ortodosso-bizantino.
L'evento chiave fu costituito dallo stanziamento degli ungari (895) nella
regione che da loro prenderà il suo nome. Essi si incunearono fra
gli slavi settentrionali (polacchi, boemi) e quelli meridionali (serbi
e bulgari slavizzati): i primi restarono nell'area di influenza della
Chiesa romana e dell'impero, i secondi furono cristianizzati (insieme
ai russi) dall'impero bizantino. La vittoria di Ottone I a Lechfeld
(955) pose fine alle scorrerie ungare in Germania e in Italia e fu
seguita dal primo tentativo, prevalentemente militare, di espansione tedesca
a est, ma i principi di Polonia e di Ungheria si convertirono al cattolicesimo
e si fecero dare dal papa la corona di re, mantenendo così la loro
indipendenza religiosa e politica. Nello stesso periodo avveniva l'ingresso
nella cristianità occidentale dei danesi e degli altri popoli scandinavi.
Consolidatasi nei decenni intorno al Mille, l'Europa in principio coincise
con la cristianità (occidentale) e fu retta da un duplice principio
religioso e politico, del quale gli imperatori cercarono di essere l'unico
vertice, finché la rivoluzione della Riforma
gregoriana e della lotta per le investiture
sottrasse la chiesa al controllo imperiale. Intanto cominciava lo sviluppo
interno dell'Europa, con la colonizzazione di vaste zone in precedenza
occupate da boschi e paludi e con la comparsa simultanea dell'Europa dei
villaggi, delle rotazioni triennali e dei mulini (rivoluzione agricola)
e delle città. Una nuova fase dello sviluppo esterno dell'Europa
fu un proseguimento della crescita demografica, agricola e commerciale
dell'XI secolo.
IL CONSOLIDAMENTO DOPO IL MILLE. Riprendeva dopo il 1100 la spinta
tedesca a est, nella forma della colonizzazione della vasta area fra Elba
e Oder, accompagnata e protetta dalle armi dei cavalieri
teutonici e proceduta nel XIII secolo nell'area baltica, dalla Prussia
orientale alla Livonia. La nascita di una civiltà rurale in Germania
orientale e di un urbanesimo commerciale nel Baltico furono solide acquisizioni
europee, mentre soltanto effimera si rivelò la creazione delle
colonie dei crociati in Palestina (Regno di Gerusalemme),
sopravvissute assai precariamente per meno di un secolo. Le crociate furono
in gran parte un episodio della storia dell'Oriente mediterraneo, mentre
la simultanea decadenza araba e bizantina nella seconda metà dell'XI
secolo ebbe invece immediate conseguenze sulla storia europea, perché
consentì al commercio di lusso controllato dalle città italiane
(Pisa, Genova, Venezia) di saldare il Mediterraneo con l'Europa continentale.
L'ulteriore sviluppo interno dell'Europa passò allora attraverso
le vie commerciali terrestri che unirono, tramite le fiere dello Champagne,
i due grandi sistemi urbani sorti alle sue estremità, quello fiammingo-renano
a nord e quello dell'Italia centrosettentrionale a sud. L'apertura dei
valichi alpini nel corso del XIII secolo intensificò i traffici
intereuropei e consentì nel XIV lo sviluppo di nuovi poli urbani
in Germania meridionale (Francoforte, Norimberga) e orientale (Lipsia,
Praga), a loro volta connessi con i commerci del Baltico dominati dalla
lega anseatica. Il massimo sviluppo dell'Europa medievale commerciale
e urbana fu raggiunto nei primi decenni del XIV secolo in coincidenza
con l'apertura di una nuova rete di comunicazioni fra il Mediterraneo
e l'Europa, la via marittima, più rapida ed economica, che unì
Genova e poi Venezia al mare del Nord. Mentre si facevano più fitte
le maglie del sistema urbano-commerciale, per altri aspetti l'espansione
europea stava raggiungendo i suoi limiti.
LE INDIVIDUALITÁ NAZIONALI E LA CONQUISTA DEL MONDO. Su
un'Europa fortunosamente sottrattasi alle invasioni mongole, e nella quale
la tensione fra popolazione e risorse si stava facendo grave, cadevano
in successione carestie ed epidemie (peste);
e mentre si chiudeva la "frontiera interna" (con l'arrestarsi dei dissodamenti
per la prossima rottura dell'equilibrio campi-boschi) si chiudeva anche
la frontiera esterna, allorché la potenza dell'ordine teutonico
dovette arrestarsi di fronte al regno di Polonia-Lituania che aveva fatto
sue le immense e disabitate distese dell'Ucraina. Compariva allo stesso
tempo una nuova minaccia dal sud dei Balcani, i turchi ottomani, la cui
espansione in Europa, cominciata nel 1354 (presa di Gallipoli), proseguì
fino alla conquista di gran parte dell'Ungheria. Il rinnovato spirito
di crociata contro gli ottomani diede luogo solo a catastrofi, da Kosovo
(1389) a Mohàcs (1526), mentre dall'episodio apparentemente marginale
della conquista portoghese di Ceuta (1415) derivarono le premesse dell'espansione
europea sugli oceani e della formazione dei grandi imperi coloniali. Una
svolta decisiva fu impressa dalle scoperte geografiche dei portoghesi
Bartolomeo Diaz (1487) e Vasco da Gama (1498), i quali avevano individuato,
doppiando la punta dell'Africa, la rotta per collegare l'oceano Atlantico
all'oceano Indiano, grazie alla quale fu sottratto all'impero ottomano
il monopolio del controllo dei traffici con l'Oriente. L'espansione della
potenza ottomana nei Balcani meridionali minacciava infatti il controllo
veneziano sui mercati dell'estremo Oriente. Dal 1521 i turchi occuparono
del resto buona parte dell'Ungheria, giungendo alle porte di Vienna. Da
questa espansione l'Europa fu fortemente condizionata fino alla fine del
XVII secolo. Mentre le scoperte geografiche (anche quella di Cristoforo
Colombo) non giungevano ancora a modificare la realtà della vita
europea, questa venne percorsa nel Cinquecento da lunghe guerre e complessi
intrecci dinastici, matrimoni e alleanze, con il rafforzamento delle grandi
monarchie dal punto di vista dell'assetto territoriale e dell'amministrazione
interna. Per il suo apparato burocratico si distinse soprattutto la Francia
dei Valois, dove veniva esautorata la nobiltà feudale. Analogo
processo di accentramento, anche se meno imponente, si ebbe nell'Inghilterra
dei Tudor con l'istituzione della Camera stellata, consiglio ristretto
del re. In Italia piccoli stati regionali, quali quelli milanese, veneziano
e fiorentino, avevano raggiunto un grado avanzato di organizzazione politica
e sociale fin dalla metà del Trecento, distanziandosi in questo
senso dalle realtà politiche rappresentate dai possedimenti del
papa e dai regni di Napoli e di Sicilia. L'elezione al trono imperiale
di Carlo V (23 ottobre 1520), figlio di Filippo I d'Asburgo e di Giovanna
di Spagna, erede di molte dinastie, concentrò nelle mani di una
sola persona un complesso di stati senza precedenti, dai Paesi bassi al
Perù, costituendo una minaccia per l'equilibrio europeo e provocando
un aspro conflitto con il re di Francia Francesco I, appoggiato dall'Inghilterra
e dagli ottomani. In questa fase di conflittualità si innestò
la frattura religiosa dell'Europa cristiana, con la contrapposizione tra
la Riforma, avviata da Martin Lutero, e la Chiesa di Roma, contestata
nel suo dominio temporale e nel suo rilassamento morale. Si aprì
così un lungo periodo di guerre di religione (1521-1598) in Europa
e soprattutto in Francia non sufficientemente arginato né dal relativo
equilibrio raggiunto con la pace di Cateau Cambrésis (1559) né
dall'opera di riforma avviata dal concilio di Trento (1545-1563). Con
la pace di Augusta (1555) la Germania rimase divisa in regioni di fede
cattolica e regioni di fede protestante. All'abdicazione di Carlo V (1556)
i domini asburgici vennero separati, tra domini spagnoli e fiamminghi
al figlio Filippo II e domini germanici al fratello Ferdinando I imperatore,
così svelenendo almeno in parte i rapporti tra le potenze. Dopo
un periodo di floridità economica e di incremento demografico,
nel 1575 ricomparve la peste: da allora fino al 1710-1720 si susseguirono
carestie, epidemie, ristagni e decrementi demografici secondo l'andamento
tipico delle società di antico regime.
L'EQUILIBRIO EUROPEO. Nella prima metà del XVII secolo si
verificarono comportamenti sociali nuovi e condizioni economiche complesse
(crisi del Seicento). Le rivolte che scoppiarono ovunque, anche oltre
i confini europei, si sovrapposero al perpetuarsi dei contrasti religiosi
tra cattolici e protestanti culminati nella guerra dei Trent'anni (1618-1648).
La Svezia, togliendo territori ai russi, ai tedeschi e ai danesi, si estese
progressivamente nell'area del Baltico, diventando la monarchia più
forte dell'Europa settentrionale e riducendo la Polonia a regno minore.
La Boemia venne degradata da regno autonomo a feudo ereditario della dinastia
asburgica; Germania e Italia continuavano a essere divise in più
stati. Mentre la borghesia calvinista di un'Olanda in forte ascesa (formata
dall'unione delle sette province del nord dei Paesi bassi avvenuta nel
1579) si attestava attorno a un governo repubblicano federale, la società
inglese, sotto la dinastia degli Stuart, attraversò una guerra
civile (1642-1648) e un'aspra lotta tra parlamento e monarchia, che sfociò
nella Glorious Revolution del 1688-1689, in seguito alla quale salì
al trono Guglielmo III d'Orange, statolder d'Olanda. Da allora
l'Inghilterra si pose come forza predominante nella lotta contro le aspirazioni
francesi sul continente. In Francia l'opposizione nobiliare era stata
piegata dall'assolutismo regio di Luigi XIV (1661-1715), mentre si indeboliva
la potenza spagnola dopo la crisi economica del suo impero coloniale e
il fallimento dell'unificazione col Portogallo e del progetto egemonico
in accordo con gli Asburgo d'Austria. La Polonia, che dal 1572 era divenuta
una monarchia elettiva, continuò a essere uno stato multinazionale,
ma sempre più stretto all'ortodossia cattolica e chiuso alle altre
confessioni. In Russia dal 1613 si era insediata stabilmente sul trono
imperiale la dinastia dei Romanov, che regnò fino al 1917. Al tempo
di Pietro il Grande (1682-1725) l'espansione russa aveva ormai soppiantato
la Svezia nel dominio del mar Baltico, dove si estendeva anche la potenza
degli Hohenzollern, alla quale nel 1618 era stato aggiunto l'elettorato
del Brandeburgo e, dopo la pace di Vestfalia (1648), la Pomerania orientale.
Con Federico Guglielmo di Hohenzollern (1640-1688) la Prussia divenne
uno stato centralizzato, militarmente molto forte e aperto alla tolleranza
religiosa; questa politica fu perseguita dai suoi successori Federico
I (1701-1707, col titolo di re di Prussia) e Federico Guglielmo I (1713-1740).
Nel 1699 si era sancita l'unione tra Ungheria e Austria nella persona
dell'imperatore, dopo che nel 1683 Ungheria, Croazia e Slavonia erano
state liberate dai turchi. L'assetto politico europeo subì nuovi
mutamenti con le guerre di successione spagnola, polacca e austriaca (1700-1748).
Dopo la guerra di successione spagnola (1713), la Lombardia, il Napoletano
e la Sardegna (poi scambiata con la Sicilia e passata nel 1720 ai Savoia)
vennero attribuiti all'Austria, che si sostituì alla precedente
dominazione spagnola nella penisola italiana. Nel 1714 col trattato di
Rastadt fu conclusa la pace tra Austria e Francia, indebolita dalle continue
guerre di Luigi XIV. Alla morte dell'imperatore Carlo VI e dopo che alla
figlia Maria Teresa fu riconosciuto il diritto di successione (1748),
in Europa si verificò un rovesciamento delle classiche alleanze
che, a eccezione dell'Inghilterra, mirante ad arginare le mire espansionistiche
di Federico II di Prussia, sfociarono nella guerra dei Sette anni (1756-1763),
la prima di dimensioni mondiali, in quanto coinvolse le colonie atlantiche,
i Caraibi e le Indie orientali. L'Inghilterra, che nel 1707 si era unita
con la Scozia nel Regno unito di Gran Bretagna, dal 1714 ebbe come re
il tedesco Giorgio I della dinastia degli Hannover. Gli Asburgo-Lorena
ebbero il governo del Granducato di Toscana dopo l'estinzione della famiglia
Medici (1737) e i regni di Napoli e di Sicilia passarono dall'Austria
ai Borbone di Spagna (1735). In tutta Europa e in alcuni stati italiani
(Toscana, Piemonte, Lombardia, Regno di Napoli) si tentarono una serie
di riforme economiche, fiscali e sociali non sempre coronate da successo.
Vasta eco aveva ovunque il movimento illuminista francese. La Gran Bretagna,
grazie all'accorta politica rivolta a garantire gli equilibri di potenza
e all'espansione coloniale condotta nella prima metà del Settecento,
era divenuta la maggior potenza mondiale, arbitro dell'equilibrio continentale.
Le particolari condizioni dell'economia e della società britannica,
oltre che le innovazioni tecnologiche nell'industria tessile, fecero avviare
il complesso fenomeno della rivoluzione industriale
a cui corrispose un generale e inarrestabile incremento demografico. Il
rinnovamento prodottosi nella speculazione filosofica e politica europea,
in particolare inglese e francese, fornì un fondamentale sostegno
ideologico a eventi diversi e geograficamente lontani. Insieme con la
dichiarazione d'indipendenza delle tredici colonie atlantiche dal dominio
britannico (1776) ciò accelerò la crisi dell'antico regime
e il processo rivoluzionario francese (1789), che nel 1792 portò
al crollo della monarchia di Luigi XVI facendo salire alla ribalta il
Terzo stato, contrapposizione eterogenea all'aristocrazia e al clero.
Presa la via della guerra contro l'intera Europa e fallita l'attuazione
di una democrazia rappresentativa, la Francia aderì alla dittatura
militare e imperialista di Napoleone Bonaparte (1799), per quanto ciò
comportasse anche l'esportazione di molti di quei principi e di quelle
libertà civili proclamate nella Dichiarazione dell'uomo e del
cittadino del 1789.
LO SVILUPPO CONTEMPORANEO. Nel 1750 il continente contava 140 milioni
di abitanti, appena quaranta più del secolo precedente. Cento anni
dopo erano divenuti 266 milioni e dopo altri cento anni, nel 1950, 536
milioni, benché si calcoli che tra il 1820 e il 1940 ne siano emigrati
circa sessanta milioni. Insieme con la rivoluzione
atlantica, alle radici dell'accelerazione dello sviluppo testimoniata
da queste cifre stanno la rivoluzione industriale e la Rivoluzione
francese, che aprirono la strada al trionfo del capitalismo. Le imprese
napoleoniche e l'esempio della rivoluzione americana e delle guerre d'indipendenza
americane resero evidente l'intrinseca debolezza dell'equilibrio politico
europeo, dovuta alla composizione multietnica degli imperi ottomano, asburgico
e russo e alla frammentazione in tanti piccoli principati di Italia e
Germania. Mentre in tutte queste aree i contrasti si manifestavano soprattutto
sotto forma di insofferenze nazionali ed etniche, soltanto in Francia
e in Gran Bretagna, le due maggiori potenze ormai sulla via dell'industrializzazione,
si esprimevano in pieno le nuove forze sociali e politiche organizzate
in movimenti, partiti e prime forme di mutua assistenza sindacale. La
Francia visse dal 1814 al 1871 un susseguirsi di rivoluzioni e colpi di
stato, che, specie nel 1848, offrì un modello a tutti gli altri
paesi, e da cui nacque la prima stabile repubblica parlamentare d'Europa
(1871-1940). La Gran Bretagna, grazie alla vittoria su Napoleone, poté
consolidare non solo il predominio mondiale, ma anche il sistema monarchico
costituzionale, che divenne, con la sua pacifica alternanza di schieramenti
nell'ambito del solido dominio della grande borghesia, esemplare per tutti
i liberali moderati europei. L'unificazione dell'Italia (1861) e della
Germania (1870) mise in campo nuove energie capitalistiche e quindi nuovi
appetiti imperialistici. Il congresso (1878), e poi la conferenza di Berlino
(1884) vollero sancire un regime di equilibrata convivenza sia tra gli
imperi continentali sia tra le potenze coloniali. In realtà innescarono
nuovi motivi di irredentismo e di gelosie imperialistiche tra vecchie
e nuove potenze. Di questo precario equilibrio, che frenò il movimento
del proletariato urbano per migliori condizioni economiche e di vita e
per l'effettiva parità politica, soffrì lo sviluppo della
democrazia. K. Marx e F. Engels avevano affermato che col 1848 un fantasma
si aggirava per l'Europa: il comunismo. Il fantasma rimase sempre tale,
ma per oltre un secolo tenne deste le paure dei ceti dirigenti e le speranze
del proletariato europeo. Il sogno di creare, con l'Internazionale, dei
vincoli di solidarietà proletaria che superassero i confini nazionali
fu infranto però dalla capacità di ciascuna grande potenza
di cooptare la maggioranza dei lavoratori nei disegni di espansione economica
e territoriale, in nome di un sempre più diffuso ed equivoco nazionalismo,
e di scaricare parte delle tensioni sociali favorendo l'emigrazione.
IL SECOLO DELLE RIVOLUZIONI. Tensioni interimperialistiche e tensioni
nazionalistiche all'interno dei grandi imperi sfociarono nella prima guerra
mondiale (1914-1918). Col suo bagno di sangue essa portò a compimento
un duplice processo di liberazione: quella delle masse come protagoniste
della vita degli stati e quella delle nazionalità. Con il disfacimento
degli imperi continentali e la nascita di una decina di nuovi stati nazionali
sorse l'illusione della "fine di ogni guerra". In realtà, soprattutto
per l'iniquità e la miopia della conferenza di Versailles (1919),
ma anche per l'impossibilità di forzare la varietà delle
culture e delle etnie entro confini netti, le antiche cause di conflitto
venivano solo nascoste e nuove ne sorgevano, non ostacolate neppure dalla
nascita dell'Urss, sorta come entità internazionalista ma presto
rivelatasi nuovo impero multietnico. I contrasti si ripresentarono negli
anni Trenta ingigantiti dalla nazionalizzazione delle masse. I principali
paesi, infatti, anche in funzione di aberranti politiche autarchiche,
puntarono a una sempre più decisa identificazione fra masse e stato,
che giunse al culmine nei regimi autoritari sorti in Urss, Italia, Polonia,
Portogallo, Iugoslavia, Spagna e Germania, ma presente, sia pure con misura,
anche nelle democrazie più solide come la Gran Bretagna, la Francia
e i paesi scandinavi. Nella guerra civile spagnola (1936-1939) il braccio
di ferro fra totalitarismo e democrazia fu minacciosamente vinto dalla
soluzione autoritaria. Al termine della seconda guerra mondiale (1939-1945)
quella minaccia era sconfitta ma l'Europa si trovò prostrata per
le distruzioni e le vittime: oltre venti milioni, fra cui più di
sei milioni di ebrei dell'Europa centrale, uno dei fattori costituenti
della sua civiltà. Ma essa era soprattutto privata del ruolo di
motore propulsivo della storia dell'umanità che aveva detenuto
per oltre cinquecento anni, e divisa nettamente, in seguito alla conferenza
di Potsdam (1945), tra area occidentale e area orientale. Per la prima
volta era costretta a riconoscere che la propria identità
era paradossalmente data dalle differenze nazionali e dalla distinzione
dal resto del mondo, dove campeggiavano Usa e Urss, e a prendere atto
del processo di liberazione dei paesi coloniali. Con la guerra fredda,
che faceva per la prima volta l'Europa campo di contesa fra potenze esterne,
si rinvigorì l'idea, fino ad allora di pochi utopisti, di unità
europea. Negli anni Cinquanta prese quindi avvio con il Mec (Cee) (1957)
un'"Europa" che man mano aggregava le nazioni occidentali esclusivamente
sul piano economico, ma sempre in contrapposizione all'intero blocco orientale,
comprendente altrettanti paesi europei (Comecon), e sottintendendo una
identità ideologica e una comunanza strategica (atlantismo) contrapposta
a un'altra. Mentre la Gran Bretagna, orfana dell'impero, recalcitrava,
la Francia di De Gaulle contrapponeva una "Europa delle patrie" all'"Europa
dei popoli" patrocinata dalle sinistre. Gli organismi sovranazionali costituiti
configuravano però niente più che un'"Europa dei governi",
appena attenuata dall'elezione popolare del parlamento di Strasburgo (dal
1979), dall'integrazione monetaria e del mercato del lavoro e, soprattutto,
dall'unificazione delle due Germanie, in precedenza appartenenti ai due
blocchi opposti. Il crollo dell'intero blocco orientale (1989-1991), compresa
la stessa Urss, mentre apriva la via a un'idea di Europa geograficamente
e culturalmente più autentica, scatenava anche nuove tensioni nazionali
ed etniche, esplose in particolare fra etnie e repubbliche una volta appartenenti
all'Urss e alla Iugoslavia.
P. Cuzzolin, S. Guarracino, M.P. Paoli, G. Petrillo

O. Bariè, Problemi storici della civiltà europea, Marzorati,
Milano 1972; A. Tenenti, La civiltà europea nella storia mondiale,
Il Mulino, Bologna 1980; E. Hinrichs, Alle origini dell'età moderna,
Laterza, Roma-Bari 1984; H. Kamen, L'Europa dal 1500 al 1700, Laterza,
Roma-Bari 1987. |
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